martedì 24 marzo 2009

Bhagavad Gita, Canto VII: "Jñana-Vijñana Yoga" - Lo Yoga della Conoscenza-Coscienza


"bhumir apo 'nalo vayuh/ kham mano buddhir eva ca/
ahankara itiyam me/ bhinna prakritir ashtadha/
apareyam itas tv anyam/ prakritim viddhi me param/
jiva-bhutam maha-baho/ yayedam dharyate jagat" (VII - 4,5)
"Terra, acqua, fuoco, aria, etere, intelligenza, ragione, coscienza - così è la Mia natura ottuplicemente divisa.
Questa è la [Mia natura] inferiore; sappi che havvi in Me un'altra natura più alta che è il principio di vita dal quale, o Mâhabâhu, questo universo è mantenuto."


(i versi sono tratta dalla B.G. a cura della Società Teosofica Italiana)

Poiché il titolo di questo Canto indica la conoscenza realizzatrice delle cose, mi sembra opportuno indagare su alcuni termini utilizzati da Krishna e sui concetti esplicitamente ed implicitamente correlati, almeno per quello che io ne capisco. I cinque elementi (in sanscr.: pancabhuta) sono i costituenti basilari del mondo manifesto, non solo di quello fisico - come si potrebbe pensare - ma anche dei mondi sottili, essendo archetipi primordiali che sottostanno ad ogni aspetto fenomenico. Ad essi sono connessi i sensi (indryas): l'odorato alla terra, il gusto all'acqua, la vista al fuoco, il tatto all'aria e l'udito all'etere. Oltre ai pancabhuta vi sono tre componenti della coscienza (citta) che formano il cosiddetto antahkarana (organo di percezione interno): essi sono manas, buddhi e ahamkâra. "Manas" è la mente come coordinatrice della percezione sensoriale e della conseguente elaborazione in sentimenti, pensieri, immagini, eccetera. "Buddhi" è l'intelligenza superiore, discriminante e intuitiva, attraverso la quale si esprime l'individualità - intesa come nucleo di consapevolezza spirituale. In una famosa similitudine presente nella Katha Upanishad, la buddhi è rappresentata come il guidatore del carro, il manas come le redini che collegano questi agli elementi sensoriali-cavalli, mentre il veicolo è il corpo. L'"Ahamkâra", infine, è il senso dell'io che si autopercepisce come soggetto dell'esperienza separato da tutto ciò che è non-io.
Tuttavia questo Canto VII, come pure molte altre parti della Gita, segnala ripetutamente l'esistenza di un livello più profondo della consapevolezza, solitamente indicato nella terminologia indiana come l'Atma, che può essere assimilato al Sé - l'Io divino e universale e, in definitiva, allo stesso Krishna. Mentre nell'uomo l'io personalistico è contraddistinto da sentimenti, pensieri e desideri egoistici, il Sé potrebbe definirsi come uno stato di consapevolezza che partecipa all'interezza della vita ed è identificabile con la sua totalità, universalità e trascendenza. Si potrebbe anche dire che lo sforzo di chi è impegnato nella ricerca interiore sia quello di aprire, espandere o dissolvere i limiti del suo piccolo io - riconoscendone l'illusorietà sul piano ontologico - per riuscire a manifestare il Grande Io, il Sé. La difficoltà nel trascendere le istanze dell'io è ben riconoscibile nella società contemporanea, dove la spinta consumistica - anche indotta artificialmente da coloro cui conviene - alimenta costantemente i desideri istintivi, l'avidità e la dipendenza; dove la discriminazione contrappone in maniera esasperata le differenze fra le persone fino a giustificare odio e violenza; dove c'è una devastante mancanza di sensibilità e di rispetto verso le altre forme di vita o la vita naturale del pianeta in genere. Credo che la ricerca del Sé - oltre alle esperienze mistiche che certamente può offrire - debba potersi manifestare concretamente in scelte e azioni quotidiane sempre più incentrate sui valori ideali e umani, come anche sul senso di responsabilità e sul desiderio di contribuire al benessere altrui e all'armonia dell'ambiente nel quale tutti viviamo. Non si tratta tanto di reprimere coercitivamente l'io egoistico e le sue istanze, quanto di indirizzarle trasformando gradualmente il proprio modo di vivere e di pensare nella direzione di un sentire più ampio e altruistico, più incentrato sull'essere che sull'avere, più basato su valori universali che sulla soddisfazione degli istinti immediati; tutto ciò sostenuto e alimentato - naturalmente - dalla costante introspezione e dall'instancabile dedizione della propria vita al Sé.

"yesham tv anta-gatam papam/ jananam punya-karmanam/
te dvandva-moha-nirmukta/ bhajante mam dridha-vratah" (VII, 28)
"Ma gli uomini che agiscono meritoriamente e il cui peccato è giunto a termine, liberi dall'illusione dei contrari, costanti nei voti loro, Mi adorano."

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