martedì 24 marzo 2009

Bhagavad Gita, Canto VI: "Dhyana Yoga" - lo Yoga della Meditazione


"yogi yunjita satatam/ atmanam rahasi sthitah
ekaki yata-cittatma/ nirashir aparigrahah" (VI, 10)
"L' Yogi ritirandosi solo in luogo appartato, dominando la mente ed il cuore, libero dalla speranza e dall'idea di possessione, si dedichi incessantemente alla meditazione."

"sarva-bhuta-sthitam yo mam/ bhajaty ekatvam astitah
sarvatha vartamano 'pi/ sa yogi mayi vartate" (VI, 31)
"Quell'Yogi che mi adora (scorgendo la Mia presenza) in ogni creatura e riconoscendo l'unità di tutte le cose, vive in Me, qualunque sia la maniera del viver suo."



(la traduzione dei versetti è tratta dall'edizione della B.G. a cura della Società Teosofica Italiana.)

Questo canto, come si può riscontrare nel titolo, è incentrato sulla meditazione, di cui viene fornita una esposizione sostanziale e tecnica in linea con i tradizionali insegnamenti dello Ashtanga Yoga. Per intenderci parliamo dello Yoga classico codificato da Patanjali, nel quale possono ben rientrare le indicazioni del luogo pulito e appartato, dell'isolamento, la spina dorsale diritta, lo sguardo fisso in Nasagrai Drishti (sulla punta del naso), la mente concentrata sul Sé. Esistono in questa disciplina nove punti principali verso i quali focalizzare lo sguardo, e ognuno di questi ha un significato profondo, che potrebbe essere brevemente schematizzato come segue:

Urdhva Drishti - verso l'alto, visione ulteriore
Broomadhya Drishti - fra le sopracciglia, visione unificante
Nasagrai Drishti - punta del naso, visione del ciclo vitale
Nabhi Drishti - ombelico, visione stabilizzante
Hastagrai Drishti - mano, visione compassionevole
Angusta Ma Dyai Drishti - pollice, visione nobilitante
Parsva Drishti - orizzonte destro, e
Parsva Drishti - orizzonte sinistro, visione polarizzata
Padayoragrai Drishti - alluce, visione della duttilità

In particolare Nasagrai è in relazione con l'organo della respirazione dove si incontrano Ida e Pingala, le correnti energetiche lunari e solari che trasportano Prana e Apana, che fondono inspirazione ed espirazione e controllano perciò anabolismo e catabolismo. Naturalmente, oltre al significato fisiologico, possiamo intravedere quello dell'equilibrio fra creazione e distruzione all'interno della consapevolezza, per così dire fra Brahma e Shiva, incentrando l'attenzione su Vishnu - lo stabilizzatore, di cui Krishna stesso è un Avatara; o viceversa, secondo le correnti religiose krishnaite, su Vishnu come manifestazione di Krishna - l'Assoluto. C'è, comunque, un altro aspetto divino che è particolarmente importante e a cui questo canto fa un esplicito riferimento, quello Paramatma: si tratta della scintilla divina presente in ogni creatura vivente e dovunque. Per chi percorre un cammino introspettivo è estremamente necessaria la percezione non teorica ma reale del Paramatma, anche allo scopo di temperare lo slancio "verticale" ed evitare, secondo quanto ho argomentato nel commento al precedente canto, la possibile "inflazione dell'io". In altre parole, sentire la divinità in ogni cosa, in ogni situazione, in ogni essere vivente, in ogni persona, fa che non si fondi il proprio percorso spirituale sulla divisione e sul senso di separatività, che invece sono elementi caratteristici del piccolo io individualista. Yogi Bhajan, il Maestro di Yoga con il quale ho fatto esperienza di questa disciplina, diceva con un simpatico gioco di parole in inglese "If you don't see God in all, you don't see God at all", ben traducibile in italiano con: "Se non vedi Dio in tutto, non vedi Dio del tutto".

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