martedì 28 luglio 2009

Riflessioni conclusive


Dopo aver lavorato per un pò sulla Baghavad Gita, aver riflettuto sui suoi temi e insegnamenti; dopo aver cercato di cogliere sia in prosa che in poesia il senso di ognuno dei 18 canti (almeno quello valido per me) non posso fare a meno di ritornare - alla fine - sulle mie osservazioni iniziali, quelle fatte a commento del canto I: ritengo, infatti, che un testo religioso che inciti alla guerra sia estremamente pericoloso, anche se lo si voglia interpretare metaforicamente. Poiché, infatti, troppo spesso la religiosità tende ad identificarsi con il desiderio di approvazione da parte dell'archetipo paterno, del Super-io, e poiché tale identificazione ha caratteri di rigidità e di chiusura rispetto alla vita reale, la cosa diventa pericolosissima. Ci vuole poco a considerarsi gli emissari di Dio, gli Arjuna della situazione, i guerrieri difensori del bene. A parte le devianze patologiche che possono produrre violenza fisica vera e propria, secondo me anche nella normalità risulta negativo sentirsi dalla parte del bene assoluto, mentre tutti gli altri (quelli che non condividono la nostra idea di "bene") sono "cattivi" o "malvagi". Ciò porta ad una spaccatura interiore, ad una aridità e ad una mancanza di autoconoscenza - semplicemente perché ci si sente un pò troppo "giusti", e quindi si è per forza di cose incapaci di compiere una vera autoanalisi interiore e avere una corretta visione della realtà. Sono convinto che da un testo come la Gita si possano trarre molte cose buone e che possa essere fonte di ispirazione, ma ho anche l'impressione che - come per una potente medicina chimica - le controindicazioni siano molte e che gli effetti collaterali possano essere, talvolta, peggiori della malattia che si vuole guarire. Tuttavia dipende sempre dagli uomini e dalla loro coscienza e consapevolezza: una persona abbastanza evoluta interiormente sarà in grado di comprendere e avrà gli antidoti appropriati...