martedì 24 marzo 2009

Bhagavad Gita, Canto III: "Karma Yoga" - lo Yoga dell'Azione


"karmendriyani samyamya/ ya aste manasa smaran/
indriyarthan vimudhatma/ mithyacarah sa ucyate" (III, 6)
"Quell'uomo illuso che, frenando gli organi dell'azione, continua a pensare agli oggetti dei sensi, è chiamato un ipocrita."


Da questo versetto si comprende il punto di vista rivoluzionario della Bhagavad Gita rispetto al brahmanesimo e allo Yoga quale era inteso all'epoca della composizione dell'opera. Lo scopo delle discipline ascetiche dell'India era il raggiungimento dell'Eterno attraverso, per così dire, lo spegnimento e l'estinzione di ogni attività. Il mondo, insomma, è limitato e limitante, le catene del karma sono pesantissime e il ciclo di nascita e morte è una sorta di prigionia per il Jivatma, l'anima individuale. Quindi l'unica soluzione è non partecipare al mondo e alle sue attività, spostando la propria consapevolezza altrove, nell'Illimitato, chiudendo i sensi e le loro percezioni illusorie. Questa dunque sarebbe la Liberazione. Krishna dice che no, che non è così: sopprimere i sensi è impossibile, e chi dice di farlo è un ipocrita. L'universo è strutturato in un certo modo, e non vale rifiutarlo, cercare di chiudersi ad esso nascondendo la testa sotto la sabbia. Perfino il divino, per quanto si voglia considerarlo - secondo certa concezione - come un Sovrano Assoluto e Trascendente, è soggetto alla Sua stessa Legge e agisce nell'universo, che in qualche modo è il suo stesso corpo. Perciò è inutile astenersi dal coinvolgimento nell'azione e dalla percezione sensoriale, semplicemente perché è impossibile e contrario alla Vita. Quello che bisogna fare, suggerisce in questo Canto Krishna, è accettare sé stessi e affermare la propria disposizione ad esistere e agire, senza arroganti e ascetici rifiuti ma offrendo devozionalmente la propria esperienza al Principio Divino presente nella profondità della vita e nel proprio cuore.

"tasmad asaktah satatam/ karyam karma samacara/
asakto hy acaran karma/ param apnoti purushah" (III, 19)

"Perciò fa sempre ciò che dev'essere fatto, ma senza attaccamento, poiché l'uomo che compie un'azione disinteressatamente consegue il Supremo."


Esistono, quindi, due tipi di azione: quella di chi, come si diceva prima, è prigioniero delle catene del Samsara, cioè degli alti e bassi delle evenienze e delle circostanze relative soltanto al proprio "piccolo io", e quella di chi invece - pur continuando a partecipare del mondo "materiale" - ne è libero interiormente, perchè consapevole anche del versante "spirituale" delle cose, del loro "senso", del "Grande Sé" cosmico che tutto comprende, cioè della dignità sia della propria vita che di quella altrui, come anche di quella universale. Quanto più l'azione è motivata da una visione ampia, non circoscritta al proprio solo ambito personale ma aperta, tanto più essa è disinteressata, felice e libera da attaccamenti. Questa, afferma Krishna, è la vera Liberazione.

"shreyan sva-dharmo vigunah/ para-dharmat sv-anushthitat/
sva-dharme nidhanam shreyah/ para-dharmo bhayavahah"(III, 35)

"Meglio il proprio dovere benché imperfettamente compiuto che il dovere di un altro bene eseguito. La morte nel compiere il proprio dovere è preferibile; il dovere di un altro è pieno di perigli."


La consapevolezza del versante spirituale, però, non significa seguire pedissequamente dei principi di comportamento uniformi, validi per tutti nello stesso modo e definitivamente. Non si è mai esentati, infatti, dalla continua riflessione sul senso della propria azione e dalla costante autoanalisi e conoscenza. Non vale eseguire bene i dettami di un modello impostoci dall'esterno e non condiviso profondamente, oppure auto-impostoci rigidamente. Sarebbe pericoloso per la vitalità della propria coscienza. Poiché la vita è azione e mutamento, trasformazione - e questo non può essere rifiutato - altrettanto bisogna essere in grado di modificare flessibilmente la propria linea di comportamento secondo gli eventi, non nel senso opportunistico, ma verificando la saldezza delle proprie convinzioni con la capacità di mettersi sempre in discussione. Magari sperimentando e sbagliando, ma accettando di poter cambiare, correggere il tiro e crescere positivamente nell'assecondare la propria natura profonda.

Nessun commento:

Posta un commento